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di Francesco Rosi, con Gian Maria Volonté, Luigi Squarzina, Peter Baldwin
(Italia, 1972)
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L'interesse di IL CASO MATTEI è nel suo personaggio, nella vicenda, nella polemica: anche se questa non aggiunge nulla di nuovo a quanto già si sapeva. Occupandoci qui di cinema, di come Rosi abbia filmato il caso Mattei, non si può negare che la pellicola deluda un poco; accostata, per esempio, a MANI SULLA CITTA' dove, accanto ad un eguale impegno sociale o civico, c'era però un ben altro impatto filmico. Rosi ha voluto mimetizzare l'intervento registico, subordinarlo all'interesse della storia, fare del giornalismo e non della letteratura. Ed ecco quindi il carattere d'inchiesta del film, il suo tono televisivo, sottolineato anche dal ricorso a molte immagini prese dal video, dai monitor. Un cinema utilitaristico, privo di fronzoli, teso all'essenziale: tesi più che accettabile. Sennonché il film non è fatto "tutto" a questo modo: ci sono le tentazioni espressive (la ruspa che scava nel fango, il lenzuolo con i resti del protagonista, il tono della recitazione), c'è soprattutto la parte "ricreata" dell'opera, quella nella quale, a partire da una foto o da un documento autentico, il regista fa partire l'azione della finzione teatrale, con gli attori, o addirittura con se stesso nei panni del regista inquirente. Una parte quindi nella quale si butta alle ortiche il documentario, la fredda testimonianza di carattere televisivo, per fare della regia, della dichiarata interpretazione della realtà. Ed il film finisce per soffrire di questi sbalzi di conduzione. Infine: d'accordo con la semplicità, l'efficacia, il ripudio dell'effetto sul testo d'impegno morale, proprio in nome di questa ricerca della moralità. Ma attenzione a non cadere nell'eccesso opposto, in un moralismo del linguaggio che può uccidere l'efficacia del testo tanto quanto il superfluo registico.
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Il film in Internet (Google)
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Per informazioni o commenti:
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capolavoro
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